\paperw9000 \margr0\margl0 \plain \fs20 \f1 \fs24 Decisione e ostinazione non mancarono al fratello di Giuseppe II, il granduca di Toscana Pietro Leopoldo; ma in questo fu maggio
re lÆampiezza di orizzonte, pi∙ liberale la programmazione, pi∙ mediata la realizzazione. La Toscana era passata a Francesco Stefano di Lorena nel 1737, e lÆattivitα riformatrice aveva avuto subito inizio per opera del Consiglio di reggenza, successivame
nte presieduto dai lorenesi Craon e Richecourt e dallÆitaliano Botta Adorno. Anche se odiata ben presto dai sudditi e pur non potendo infrangere i limiti invalicabili che lÆinteresse personale di Francesco Stefano, impegnato nella guerra di successione a
ustriaca e in quella dei Sette anni e quindi bisognoso di ricavare dal proprio dominio la maggior quantitα possibile di denaro, poneva ad ogni politica riformatrice, la reggenza non solo seppe riorganizzare lo stato, risolvendo la spinosa questione dei b
eni allodiali medicei, riordinando il debito pubblico, stipulando trattati con lÆimpero ottomano, ma avvi≥ delle riforme (trasferimento di intere famiglie di contadini lorenesi nella Maremma; favore dato allÆindustria della seta; limitazione della giuris
dizione feudale), preoccupandosi di favorire una parziale decentralizzazione del potere, favorendo una maggiore collaborazione tra governo e classe dirigente locale. Al momento del trapasso dagli ultimi Medici ai Lorena la Toscana aveva acquisito sempre
pi∙ i caratteri di un laboratorio politico dove, sia pur con alterne fortune, si sperimentava la validitα del riformismo settecentesco. Molti degli uomini impegnati in questa svolta culturale prestarono la loro opera anche altrove: toscano era il ministr
o riformatore di Napoli Bernardo Tanucci, toscano Bartolomeo Intieri che fond≥ a Napoli la prima cattedra di economia politica, e toscano, infine, era quel Pompeo Neri che abbiamo visto realizzare a Milano il catasto di Maria Teresa.\par
Nel 1753 lÆabat
e Ubaldo Montelatici fond≥ a Firenze lÆAccademia dei georgofili, un sodalizio che darα un proprio volto a tutta la classe politica toscana per almeno un secolo. Al riformismo spicciolo e frammentario della reggenza si sostitu∞ un vero e proprio programma
sintetico di riforme con lÆarrivo del giovane Pietro Leopoldo nel 1765: un programma che non and≥ esente da qualche conflitto con quello dellÆimperiale fratello Giuseppe II, sia per il diverso atteggiamento nei confronti della Toscana, considerata a Vie
nna soltanto come una ôsecondogenituraö per gli Asburgo, sia per un diverso modo dÆintendere le riforme. Secondo Pietro Leopoldo era necessario che allo sviluppo della societα civile corrispondesse un mutamento sul piano politico. Circondato dai migliori
elementi della cultura e dellÆamministrazione toscana, come gli economisti Pompeo Neri e Francesco Maria Gianni, i giuristi Giulio Rucellai e Angelo Tavanti, il vescovo Scipione deÆ Ricci, il granduca Pietro Leopoldo incarn≥ veramente il tipo ideale del
principe riformatore italiano e sotto di lui la Toscana fu allÆavanguardia del progresso nella penisola: le principali riforme furono la pubblicazione del bilancio, la perequazione e lÆeguaglianza fiscale, il riordinamento e lÆuniformitα delle amministr
azioni provinciali e comunali, lÆuniformitα di legislazione (codice leopoldino), lÆabolizione della tortura e della pena di morte, la soppressione dei maggiorascati e dei fedecommessi, lÆabolizione del vincolismo economico-corporativo, vaste opere di bon
ifica nella Valdichiana e nella Maremma (grazie allÆopera di Vittorio Fossombroni). Portando a maturitα i germi di sostanziale dissenso dal riformismo del fratello, il quale altro non voleva essere che abolizione degli antichi ordini costituzionali degli
stati che formavano la monarchia asburgica, Pietro Leopoldo, che invece, pur mantenendo integra la prassi del ôdespota illuminatoö, voleva costruire il nuovo tenendo conto di questi antichi ordini costituzionali, intendeva porre come punto di arrivo del
le riforme una costituzione o, per dirla con le parole di F. M. Gianni che di quel progetto fu il collaboratore pi∙ assiduo, ôuna legge fondamentale di convenzione, che fosse la perpetua costituzione di un governo monarchico temperato dallÆintervento del
voto nazionaleö. Gli avvenimenti fecero s∞ che tale progetto costituzionale non fosse attuato, anzi rimanesse segreto (la prima notizia di esso si ebbe nel 1825). Pi∙ clamorose, ma meno solide, furono le riforme operate dal granduca nel campo ecclesiast
ico, anche perchΘ compromesse dallÆintemperante attivitα quasi scismatica del vescovo deÆ Ricci (sinodo diocesano del 1786 a Pistoia, e nazionale a Firenze lÆanno dopo).